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Dal 1° agosto si può acquistare su www.phasar.net
ORIGINE E STORIA
DELLA FAMIGLIA FRECENTESE. IL RAMO DI S. MARIA CAPUA VETERE
di Roberto Frecentese

Le
origini del casato Frecentese e la sua vicenda storica sono percorse
attraverso l’ausilio dei documenti a partire da Giovanni di
Nocera (1017?) e nelle diramazioni dei suoi nuclei a Sarno, Amalfi,
Napoli, Nola.
Da Nola è nato il ramo di S. Maria Capua Vetere agli inizi del XVIII secolo.
Nel libro sono ricostruiti per la prima volta storia, attività
economiche, personaggi, parentele, legami sociali e cultuali,
curiosità, genealogie (Sarno, Amalfi, Napoli, Nola, S. Maria
Capua Vetere, Vallo della Lucania, Laurino, Torre Annunziata) con
l’ausilio delle fonti d’archivio.
Le notizie sparse un po’ dappertutto e mai collazionate tra loro
vengono presentate in un quadro storico- genealogico, grazie al quale
è possibile ricavare gli intrecci tra il casato ed i territori
di antica tradizione politica, economica e culturale del Regno di
Napoli.
La famiglia, appartenente alla nobiltà locale di Sarno, ha
vissuto un periodo di straordinario splendore tra XV e prima
metà del XVI secolo, durante il quale ha partecipato attivamente
alla società del tempo.
Un capitolo è stato dedicato interamente ai documenti medievali.
Il volume possiede, oltre quello generale dei nomi e dei luoghi, un
indice per genealogie al fine di agevolare la ricerca.
Edizioni PHASAR 2012 € 35,00
ISBN: 978-88-6358-146-1
Proprietà letteraria riservata
© 2012 Roberto Frecentese
Il libro è disponibile anche in formato e-book
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IL RAMO DEI FRECENTESE DI AMALFI
Da Amalfi nasce la genealogia che porterà Francesco Antonio Frecentese
con la propria moglie Angela Casanova a raggiungere Nola, dove genererà
almeno tre figli, i quali, morto il padre, come già detto, si
recheranno, dopo un brevissimo soggiorno a Casapulla, nella cittadina
di S. Maria Capua Vetere.
La prima notizia di un Frecentese ad Amalfi risale attorno al 1482
quando nasce l’honorabilis magister Angelino Frezentesius (Frecentese).
Non si conosce la sua paternità, né si conoscono le sue origini, ma il
titolo di honorabilis magister fa intuire che possa trattarsi di una
persona già presente nel territorio amalfitano e che abbia potuto
esercitare un ruolo nel tessuto socio-economico della cittadina
costiera.
Il 13 ottobre 1518 Giovanni Francesco e Battista Frecentese di Sarno
promettono di vendere al nobile Vincenzo de Bonito di Amalfi tutta la
carta da produrre nella cartiera di loro proprietà nell’arco di un
trennio, posta in Sarno, tenuta da Mariano de Abignente, con atto del
notar de Galifis.
Nel documento il legame commerciale dei Frecentese con la città di
Amalfi è suggellato da questo contratto triennale nel campo della
produzione di carta pregiata. Interessante notare che i due fratelli
sono proprietari della cartiera sarnese e stringono legami con i
Bonito, i quali, a loro volta, diventano proprietari ad Amalfi della
“cartiera grande”. La compravendita ricorda ancora come i Frecentese
trattino con gli Abignente, la potente dinastia sarnese e l’altrettanto
nobile e solida famiglia dei Bonito di Amalfi, che partecipano in modo
determinante alla gestione della vita socio-economica amalfitana.
I documenti rivestono particolare importanza, poiché acclarano il
legame del casato Frecentese con Amalfi. Attorno al XV-XVI secolo un
ramo sarnese dei Frecentese può essersi sposato ad Amalfi. I documenti
sarnesi attestano come la famiglia Frecentese avesse raggiunto nella
cittadina una posizione di rilievo nel campo delle attività
fondiarie e soprattutto mercantili. Nell’esigenza di espansione
commerciale un ramo dei Frecentese si sarebbe, così recato, in Amalfi
per costituire una testa di ponte ed introdursi, dopo probabili
contatti e contratti stipulati con mercatores amalfitani, nella società
del paese costiero di lunga tradizione mercantile.
La penuria dei documenti toglie informazioni preziose sullo svolgimento
delle attività dei Frecentese in Amalfi. Tuttavia è possibile
ricostruire almeno le linee ereditarie e verificare gli intrecci
familiari con i casati della cittadina costiera e con i centri
confinanti, grazie ai matrimoni contratti.
La condizione familiare ormai discendente nella seconda metà del XVII
secolo è misurabile nel 1684 quando l’amalfitano Ascanio Frecentese,
detto Barone, che possedeva nella sua città case con mulino presso la
porta della Marina grande, come indicato dalla convenzione firmata con
i canonici della Cattedrale, ormai facesse parte del ceto di piccoli
proprietari, artigiani e commercianti (Le pergamene, Orefice, DXVIII,
p. 179; Gargano, La società marinara, p. 120).
Era il segno più in generale di una decadenza inarrestabile per Amalfi
con i problemi finanziari dei Piccolomini d’Aragona, duchi della città,
con l’acquisto della indipendenza e la voracità del gruppo di
acquirenti dei ceti ragguardevoli e dei nuovi rampanti che provoca un
impoverimento dei ceti minori. Per i Frecentese amalfitani, che non
sembra partecipino all’acquisto, è la dichiarazione indiretta di
penuria economica. Molto probabilmente lo smembramento del patrimonio
familiare con la parcellizzazione della ricchezza, la mancanza di
figure accentratrici (come quella di Aniello) hanno causato un
declassamento economico di non piccolo rilievo. Tanto che nel
volgere di non molto, almeno per uno dei Frecentese si aprirà la via
dell’emigrazione a Nola alla ricerca di nuovi mercati.
Di un certo interesse è notare come oltre l’attività lavorativa tra i
Frecentese vi fosse anche altro. Vittoria Frecentese, figlia di
Ascanio, figura come “obstetrix probata” nell’atto di battesimo di
Catarina Cimmino del 22 dicembre 1642, amministrato da Vittoria per
l’imminente pericolo di vita della piccolina. Ne fa registrazione d.
Lorenzo de Vivo e le cerimonie vengono celebrate nella chiesa da d.
Giulio de Alfano.
L’arte della levatrice veniva, di solito, trasmessa entro la parentela
(madre-figlia, zia-nipote, cognata) e doveva ricevere l’approvazione
del parroco, che garantiva la capacità dell’ostetrica di saper recitare
la formula di rito ed amministrare in modo corretto il battesimo in
caso di pericolo di vita del nascente. Spesso il ruolo di madrina
veniva affidato alla stessa levatrice in segno di gratitudine per il
suo operato. Ed il ruolo del padrino, madrina rivestiva per la famiglia
del bambino e per la società un’importanza davvero significativa.22
La frequenza con cui ricorre il nome di Diana Gambardella, moglie di
Arcangelo Frecentese, come madrina nei battesimi fa pensare che
anch’essa possa aver esercitato l’arte della levatrice. Il numero di
Amalfitani presenti nella cittadina ed il numero di battesimi
amministrati portano a ritenere che non più di due o tre potessero
contemporaneamente esercitare l’arte della ostetricia.
Un’altra figura particolare è quella di Ursula Frecentese, figlia di
Carlo Onofrio Aniello. Viene indicata come monaca “bizoca”, una donna
che vive lo stato monacale in casa e veste un abbigliamento
distinguente il suo stato: la bizoca emette i voti. Muore il 24 luglio
del 1721 a 60 anni di età, “praecepitans” nel monastero dei Cappuccini
di S. Francesco. Non si capisce se sia caduta mentre svolgeva le
mansioni di servizio o sia stata una morte improvvisa, giacché non ha
potuto ricevere il S.mo Sacramento.
Da notare anche la gravidanza di Antonia Frecentese, figlia di
Giuseppe, moglie di Giuseppe Cretella, che partorisce all’età di 54
anni il primo ed unico figlio Salvatore Andrea Giovanni il 04 luglio
1739, dopo 26 anni di matrimonio.
A metà del XVII alcune famiglie cercheranno con l’emigrazione a Napoli
di riportare i casati ad un nuovo splendore. La popolazione di Amalfi
si ridusse notevolmente. La crisi sia per motivi economici sia per lo
smembramento del patrimonio familiare per questioni squisitamente
dinastiche (poca prolificità) attanaglia anche le famiglie più in vista
della nobiltà, detentrici di potere e ricchezza, come i Piccolomini
d’Aragona, che pure avevano avuto incontrastata la guida ducale della
città dal 1461 per più di un secolo.
Un discorso a parte merita la figura di Aniello Frecentese, il
progenitore di Andrea Antonio, nonno di Carlo Onofrio Aniello, bisnonno
di Francesco Antonio. Ha il titolo di patrizio ed il suo stato di
nobile è tale sia a Sarno, nella quale cittadina rivendica
l’appartenenza al seggio dei nobili per l’antica tradizione familiare e
discendenza legittima e nella quale esercita il ruolo di rappresentante
dei nobili stessi, sia in Amalfi. Prova per Amalfi è la registrazione
del battesimo di Pietro Antonio, nella quale il canonico Giovanni
Ferrante Francese, alla data 15 gennaio 1592, dichiara che Pietro
Antonio è figlio “del Magnifico Aniello Frecentese e di Madonna Angela
Fiorentino”. Una tale registrazione non è usata per nessun altro ed è
isolata all’interno degli atti di battesimo.
Un’ulteriore chiosa merita la figura di Aniello. Nelle questioni
riguardanti il seggio dei nobili in Sarno (1622) egli appare uno degli
eletti in seguito ad una vicenda poco chiara, ma chi difese le ragioni
dei nobili eletti in quella circostanza non poté fare a meno di
ricordare il casato Frecentese tra quelli che avevano avuto antico e
consolidato riconoscimento regale.
C’è da registrare che la sua figura dovette essere rilevante se gli
venne affidata la procura dei nobili di Sarno nelle compravendite
effettuate. Compare, difatti, in qualità di procuratore per conto dei
nobili di Sarno nell’acquisto di una bottega (1622) per rogito del
notar Fabrizio Fabbricatore di Sarno. In quest’atto è definito nobile
di Sarno.
La cosa che colpisce è che Aniello è un Frecentese Piccolomini
d’Aragona. Il doppio cognome non ha spiegazioni: si è imparentato con
il casato dei duchi amalfitani e ha assunto dalla moglie il cognome
unendolo al proprio? Per far questo avrebbe dovuto risposarsi dopo la
morte della prima moglie Angela Fiorentino, che è sicuramente viva fino
al 1620, data in cui è madrina di Giovanni Iacomo Frecentese, figlio di
Francesco.
Le date estreme sono, pertanto, 1620 e 1622, anno in cui Aniello si presenta con il doppio cognome nel rogito notarile.
Il doppio cognome non verrà ereditato dai figli di primo letto, né
nasceranno dalla nuova unione altri figli. Però traccia del nuovo
matrimonio non c’è nei registri di anagrafe sacramentale. Il legame con
la famiglia dei Piccolomini d’Aragona nasce da valutazioni economiche,
in quanto la famiglia ducale di Amalfi si agitava in cattive acque e
vennero tentati alcuni matrimoni con famiglie di sicura rendita, ma ciò
non ottenne i risultati sperati.24 Dovette essere questo, per l’appunto
il dato economico, il motivo per cui la famiglia dei Frecentese fu
annoverata tra i legami dei Piccolomini d’Aragona. Essa era nobile,
stando alla posizione sociale acquisita da Aniello tra Sarno ed Amalfi,
ed aveva un patrimonio di non esigua entità.
La figura di Aniello appare senz’altro di spessore se si pensa a come
gestisce la famiglia, non solo quella propria e mantiene unito il
patrimonio. Ha rapporti con la nobiltà di Sarno, ne gestisce alcuni
interessi, dimostra dimestichezza con la contrattualistica e l’oculata
gestione degli interessi comuni al ceto nobiliare, che gli dà fiducia.
Nondimeno ad Amalfi sa raccordare il casato con le espressioni sociali
più elevate della società amalfitana. Prova ne sono i matrimoni
combinati con le casate alcune nobili altre della ricca borghesia sia
consolidata che emergente di Amalfi. Infine si raccorda nel tentativo
di ascesa ulteriore con i Piccolomini d’Aragona, la famiglia ducale, a
cui devolve denaro in cambio del matrimonio e cognome pro tempore. Una
mossa per provare ad acquisire il titolo di duca per i proprio figli o
nipoti?
Le famiglie che si imparentano con i Frecentese di Amalfi sono sia
autoctone che dei paesi vicini. Amalfitane sono i Bonito, d’Ancora,
Jovene, Pinto, Cretella, Casanova, Gambardella, Torre, Cavaglione,
Paolillo, Lauretana, Fronda, Ricciardo, Milano, della Mendola o
Amendola, della Pastena, Pegna, Cimino, Acquarulo, de Vivo.
Dei paese vicini si ricordano: di Minori i Carola, Mosca, Manso,
Palomba, D’Amato; di Maiori i Carputo; Acunto, Rispoli, della Mendola
di Pogerola; Anastasio di Vettica; Legamme di Bagnara.
Più lontane: Colavolpe di Cava, Fiorillo di Avellino.
La situazione nel XVIII secolo vedeva questa stratificazione sociale.
Di origini nobiliari sono i casati dei Bonito, dei Milano e dei d’Ancora.
Tra i notabili, che può identificarsi con l’alta borghesia sono i
casati: Gambardella, che ha avuto Giovanni Andrea giudice a contratti
ed il notaio Francesco; Milano; de Vivo con il notar Francesco, il
canonico Domenico ed il parroco Lorenzo; Torre.
Tra le famiglie della media borghesia e dei cittadini: Casanova,
Paolillo di Pogerola, Amendola o della Mendola, Rispoli di Pogerola,
Fronda, Frecentese.
In questo quadro, pur lacunoso per la difficoltà di delineare con
chiarezza le linee ereditarie amalfitane a causa delle carenti,
talvolta inesistenti o, in alcuni casi, errate trascrizioni degli atti
di anagrafe sacramentale soprattutto nei primi registri, emerge una
discreta ampiezza del casato dei Frecentese in Amalfi. La famiglia ha
una posizione sociale ed economica di tutto rilievo, consolidata dai
matrimoni contratti con le famiglie dell’alta borghesia cittadina.
Proprio il discorso relativo alla visibilità meriterebbe qualche
ulteriore approfondimento. Anche qui mancano documenti. Soltanto un
atto del Capitolo della Cattedrale di Amalfi informa di Ascanio che
possedeva case presso la Marina grande, non distante dal Duomo ed in un
luogo pregevole. Questo nel 1684, ma nel periodo tra XV e XVI secolo
non si hanno informazioni su dove abitassero i Frecentese. L’abitazione
non era solo la dimora ma pure il luogo di rappresentanza della
famiglia, che ambiva a possederla nella zona più prossima ai centri del
potere: la cattedrale ed il palazzo ducale. La struttura e
l’organizzazione degli spazi dell’abitazione erano studiati con
l’intento di colpire il visitatore con la creazione di scale ed androni
e corte interna.
Un’ultima considerazione concerne la definizione dei Frecentese come
famiglia nobile o meno. Il problema è stato solo accennato nelle righe
precedenti. Nel tirare le somme l’argomento merita qualche
sottolineatura. L’insieme delle testimonianze storiche colloca la
famiglia all’interno della nobiltà. In particolare per Sarno diversi
fattori spingono a collocare la famiglia all’interno della
nobiltà. In primis la figura de notaio Giovanni Angelo Frecentese che
assume la carica di di sindaco per gli anni 1612-1613, carica che è
affidata al solo ceto nobiliare, a norma della legislazione cittadina.
Nei secoli precedenti altri Frecentese avevano assunto incarichi
pubblici (si pensi a Raymundo sindaco fluminum nel 1475).
L’elezione di Aniello Frecentese quale rappresentante dei nobili del
quartiere Tavellara, luogo di residenza storico sin dal basso medioevo
dei Frecentese, dovrebbe di per sé indicare l’inserimento nel ceto
nobiliare. La seduta a seguito del bando del 4 maggio 1622 si celebra
dinanzi al commissario delegato regio Lopez Suarez. Nel memorandum di
Paolo di Raymo del 12 agosto, volto a dimostrare la liceità
dell’operato del commissario e la regolarità dell’elezione, indica la
famiglia Frecentese tra quelle onorate dai sovrani così come le altre
partecipanti all’elezione.
Sempre Aniello era comparso il 12 aprile del 1622 nella compravendita
di una bottega in qualità di procuratore dei nobili di Sarno nell’atto
stilato dal notar Fabricatore.
I tre documenti potrebbero già attestare la nobiltà della famiglia, ma
ciò potrebbe essere limitata alla persona di Aniello o quantomeno al
solo ramo sarnese.
In realtà già il 5 gennaio 1595 presso la Curia di Sarno si era acceso
un contenzioso tra i rami dei Frecentese di Sarno, Amalfi e Napoli
circa la provvista del nuovo rettore del giuspatronato di S. Nicola dei
Frecentesi di Sarno. Nel procedimento tutti i componenti dei
Frecentese, tra loro parenti di diverso grado, sono senza eccezione
definiti magnifici, nobili, onorabili. Né tale qualità viene contestata
dall’esterno del casato né all’interno di esso. Indistintamente
familiari e testimoni danno per scontato il riconoscimento e tutto
questo dietro giuramento, tactis scripturis, durante le deposizioni.
Ancor prima, nella testimonianza dell’honorabilis Angelinus Frecentese
del 9 agosto 1548 ed in quella del 18 gennaio 1557, resa nella Curia di
Amalfi nella causa vertente tra i chierici della chiesa dell’Annunciata
di Ballenulo, egli si dichiara honorabilis magister. E dopo nell’atto
di battesimo del 15 gennaio 1592 Pietro Antonio è figlio “del Magnifico
Aniello Frecentese e di Madonna Angela Fiorentino”. Come già riferito,
una tale registrazione non è usata per nessun altro ed è isolata
all’interno degli atti di battesimo di quel periodo.
Sempre per Amalfi lo storico Matteo Camera definisce Vittoria
Frecentese patrizia amalfitana, moglie dell’altro patrizio d’Amalfi il
nobile Ferrante d’Ancora.
Un ulteriore indizio della nobiltà della famiglia Frecentese d’Amalfi
sono i matrimoni contratti con i nobili Bonito (tra i casati più
ragguardevoli di Amalfi e dell’intera costa) e d’Ancora. Ancora
matrimoni erano stati celebrati con i Gambardella, i Milano, i Torre,
esponenti dell’alta e ricca borghesia cittadina. Altri matrimoni
imparentarono i Frecentese con i Paolillo, Amendola (o della Mendola),
Gammaro (o Legamme), Casanova, i cui esponenti avevano figli nel clero
cittadino ed in particolare nel capitolo della Cattedrale amalfitana di
S. Andrea.
L’insieme di prove ed indizi storici e sociali acclara la nobiltà del
casato dei Frecentese. Esso ha scaturigine dal ceppo unico di Sarno e
da esso si dirama prima in Amalfi e poi a Napoli. La fuoriuscita da
Sarno tra XV e XVI secolo indica la necessità della famiglia di
abbandonare l’ambito strettamente cittadino in un’ottica di espansione
per acquisire nuovi mercati e posizioni sociali via via più alte nella
scala gerarchica socio-economica. La fetta del mercato amalfitano ne è
chiara attestazione. Il contratto con i Bonito ed il matrimonio
stipulato con questa famiglia, proprietaria della più grande cartiera
di Amalfi e della ferreria, segna il desiderio di grandezza e di
visibilità. Da Amalfi il passaggio nella capitale del Regno è nella
logica dei desideri ed aspirazioni. Non si è a conoscenza delle
modalità attravreso le quali i Frecentese sono giunti a Napoli e che
livello di rapporti essi abbiano avuto con la corte napoletana. Il
Ruocco nella storia di Sarno ricorda che i sovrani hanno avuto modo di
beneficiarli, ma null’altro, allo stato attuale delle ricerche
documentali, si può narrare.
Un altro passo in avanti riguarda la definizione del tipo di nobiltà al
quale è stata ascritta la famiglia. La struttura della nobiltà è cosa
abbastanza complessa; la sua articolazione prevede gradi e categorie.
La prima divisione è tra nobili titolati, cioè tra chi possiede un
feudo, e non titolati. Secondo una tradizione tramandata dal Ruocco a
Sarno c’era un cavaliere Ugo Frecentesio nel XII secolo. Sembra davvero
poco per poter definire i Frecentese nobili titolati: essi, tra
l’altro, non figurano in alcun elenco dei baroni del Regno di Napoli.
Certa è, invece, quantomeno l’appartenenza tra i nobili non titolati.
Costoro si collocano nella gerarchia più bassa della nobiltà e
precedono i soli patrizi (con le eccezioni dei singoli stati e
consuetudini cittadine).I non titolati costituiscono di per sé il corpo
più consistente della cosiddetta nobiltà cittadina.
I Frecentese, si stava argomentando, aspirano a salire di grado sociale
ed in un disegno complessivo compiono passi graduali e successivi per
acquisire maggiore visibilità. Dapprima pongono mano all’edificazione
di un insediamento abitativo di rappresentanza nel luogo probabilmente
originario del casato in Sarno, la costituzione di un patrimonio
costituito dai proventi dell’attività mercantile e da rendite frutto
dei beni fondiari collocati in più punti del comprensorio. Poi creano
un giuspatronato nella cappella di S. Nicola, con la quasi
contemporanea ricerca di lavori od interventi di prestigio oltre la
rendita, quali l’esercizio del notariato, la partecipazione a
cappellanie e canonicati, l’utilizzo di attività industriali. Infine
alimentano ed accentuano la loro presenza nel triangolo
sarno-amalfitano-napoletano.
Il sogno proprio nel momento di maggior sviluppo del casato di
interrompe nella seconda metà del XVII secolo per una serie di
concomitanti fattori che segnano il declino della famiglia, proprio
quando si poteva immaginare di poter compiere il passo definitivo:
l’acquisizione del titolo con il feudo, che certamente comportava a
quei tempi un enorme esborso economico. Lo scemare della linea
ereditaria maschile, il frazionamento del patrimonio economico,
accumulato, la mancanza di un personaggio carismatico, il cambiamento
dei rapporti socio-economici e di legami familiari in Amalfi hanno
avuto come conseguenza la scomparsa dei Frecentese nella stessa Amalfi.
Due considerazioni finali. La prima. La nobiltà dei Frecentese non è
stata legata al singolo ma al casato, cioè per discendenza da chi in
origine l’ha acquisita. Tutta la linea ereditaria sarnese, almeno dalla
prima metà del XV secolo, è da considerare indistintamente facente
parte della nobiltà. In particolare la linea ereditaria
sarnese-amalfitano poi nolano-sammaritana è senz’altro nobile.
Ugualmente la linea sarnese-amalfitana-napoletana è senza ombra di
dubbio nobile. Come conseguenza gli emigrati da Amalfi in Nola e S.
Maria Capua Vetere sono da ritenersi nobili.
La seconda riguarda il diritto a fregiarsi della dicitura nobiliare.
Essa oggi vale ai soli fini storico-culturali. Si tratta di una mera
curiosità. Può considerarsi un retaggio morale, genealogico. Infatti la
linea ininterrotta di circa 450 anni, vale a dire dal primo Frecentese
attestato come magister, magnificus, nobilis, viene rappresentata in
questo volume proprio come un fatto storico-culturale e la
consequenziale nobiltà come un frutto di ricerca documentaria. Quindi
il diritto a fregiarsi del titolo, non riconosciuto dalle attuali norme
costituzionali, è limitato al solo elemento morale e di retaggio. Sul
valore morale dell’essere nobili e sull’importanza della nobiltà
d’animo, che ha più valore di qualsivoglia titolo, si lascia ad altri
disquisire non essendo questa la finalità della presente ricerca.
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